La tensione dinamica caratterizza le sculture dell'arte africana Mumuye, come illustra questa statua tribale Mumuye, realizzata da uno scultore Rati o Molabaiene, parte della collezione Mercier, tramandata da tre generazioni. Il busto arcuato colonnare si apre verso gambe ridotte e merlate, mentre lunghe braccia penzolanti, dotate di mani a spatola, incorniciano un ombelico prominente. Sormontata da un collo massiccio, la testa stretta e ovoidale sfoggia l'acconciatura caratteristica del clan e tracce di orecchie distese da riccioli, attributo esclusivamente femminile all'interno del gruppo etnico. La patina scura, con riflessi dorati, testimonia il tempo e le esperienze passate, con abrasioni, crepe e deterioramenti. Originario della regione nordoccidentale del Medio Benoué, dai Kona Jukun ai Mumuye e fino alle popolazioni Wurkun, la statuaria si distingue per il suo minimalismo e l'assenza di ornamenti. I Mumuye, che contano circa 100.000 parlanti la lingua Adamawa, sono organizzati in villaggi, detti dola, divisi in due gruppi: i tjokwa, associati al fuoco e al colore rosso, custodi del culto vabong, e i tjozoza, legati all'acqua e al bianco a colori, tra i quali vengono selezionati i sacerdoti della pioggia, iniziati al culto vadosong. I Mumuye vivono in gruppi familiari chiamati dola. Le loro statue iagalagana erano custodite in un'apposita scatola, tsafi, riservata a questo scopo, mentre un'altra scatola, java, ospitava un individuo dotato di poteri magici, circondato da oggetti rituali legati alla sua funzione e al suo prestigio.
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